intervista Scarpelli

Intervista alla Dott.ssa Serena Scarpelli

Marta Mariani ha intervistato per Ohana la Dott.ssa Serena Scarpelli per offrire ai nostri utenti una panoramica sullo svolgimento dei laboratori terapeutici e sulle loro potenzialità.

Serena, tu ti occupi di laboratori terapeutici per preadolescenti che hanno delle difficoltà nel riconoscere e nel gestire le emozioni. In che cosa consistono esattamente le attività laboratoriali?

Il laboratorioterapia prevede ad ogni incontro una parte psico-educativa. I partecipanti ricevono delle informazioni su un tema, cioè su una emozione su cui si concentrerà la parte esperienziale del laboratorio. In questa seconda parte i ragazzi si mettono in gioco, sperimentando in diverse simulazioni le situazioni critiche tipiche del loro vissuto.

Mettere in scena le emozioni

Spesso il tema centrale è la gestione della paura. I ragazzi scelgono in genere una situazione, come un compito in classe o un’interrogazione, in cui hanno provato questa emozione e la metteranno in scena. Nelle esperienze di laboratorio ci sono dei protagonisti e degli osservatori. Si ragiona insieme su alcune variabili che sono fondamentali per il riconoscimento dell’emozione.

Usiamo delle domande guida

La Dott.ssa Serena Scarpelli

Le domande guida sono fondamentali: come stava il corpo? qual era l’espressione del volto? Quali sono i pensieri che possono essere passati per la mente alle persone coinvolte nella situazione e, nello specifico, nel momento in cui si è provata l’emozione di paura? Quali comportamenti vengono messi in atto?

L’obiettivo

L’obiettivo, in linea con quello che è il mio approccio (psicoterapia ad indirizzo cognitivo), è sostanzialmente quello di comprendere la relazione tra pensiero, emozione e comportamento, con un’attenzione cruciale anche al corpo. È la base per poter riconoscere, comunicare e gestire le emozioni in maniera adeguata.

Poco fa hai utilizzato l’espressione «alfabetizzazione emotiva». Mi ha colpito molto, facendomi pensare che le emozioni vanno codificate e decodificate un po’ come la scrittura. Potresti spiegarci perché le emozioni sono spesso difficili da capire e da interpretare?

Ci sono delle emozioni di base che secondo studi scientifici sembrano essere condivise a prescindere dalla cultura degli individui. Si tratta di emozioni che vengono quindi codificate e decodificate nel medesimo modo in tutte le popolazioni. Ad esempio, la gioia viene espressa mediante il sorriso in maniera universale. Nonostante ciò, è spesso difficile riconoscere anche le emozioni di base (gioia, paura, rabbia, disgusto, tristezza), per diverse ragioni. Prima di tutto non sempre si è in grado di comprendere cosa ci sta comunicando il nostro corpo. Ad esempio, non tutti “si ascoltano” nello stesso modo. Non tutti si rendono pienamente conto che la rabbia corrisponde anche ad una sensazione di calore, o ad una maggiore attivazione della parte superiore de corpo. Inoltre, bisogna considerare, che le emozioni mutano rapidamente. Ad una emozione di rabbia, può seguire spesso quella di tristezza e non sempre siamo consapevoli di tali evoluzioni. Infine, spesso è difficile spiegare le emozioni a parole. Occorre maturare un linguaggio “emotivo” per poterle comunicare correttamente agli altri.

I laboratori di cui ti occupi sono rivolti per lo più ai preadolescenti. Ci sono delle criticità che possono essere ricondotte proprio a questa fascia di età? Dei problemi diffusi o generalizzati? Delle insicurezze tipiche di questa fase?

La preadolescenza è una fase molto delicata della crescita dell’individuo. Basti pensare che, durante le scuole medie, avvengono molti cambiamenti fisiologici che trasformano il bambino in un ragazzo, e che, tanti di questi mutamenti sono manifesti e spesso fonte di disagio, di insicurezze o di allarme da parte dell’individuo stesso.

Il confronto con i “pari”

La preadolescenza è una fase in cui i ragazzi iniziano in maniera più evidente a confrontarsi con i pari, preparandosi a ricercare e costruire una propria identità. Le problematiche riferite dai preadolescenti sono legate, di frequente, ad una competenza non del tutto acquisita nel relazionarsi con gli altri, nel dire la propria opinione o nel gestire una situazione conflittuale.

Paura del giudizio

Il timore del giudizio è massicciamente presente nei loro racconti. Quest’ultimo è in genere legato al contesto scolastico, dove i ragazzi vivono una certa ansia di “fare brutta figura” con i compagni di classe. Sono problemi diffusi, preoccupazioni condivise che, in molti casi necessitano dell’apprendimento di nuovi “strumenti” per essere adeguatamente gestite. Vale la pena sottolineare che potenziare le abilità di ovviare alle “emozioni difficili” può servire anche per il futuro.

Il lavoro che tu svogli con i ragazzi ha un impatto positivo anche in altri contesti sociali o a scuola? Quali risultati può sperare di ottenere un utente del laboratorio?

L’utente, quindi il ragazzo o la ragazza che partecipa al laboratorio, matura la capacità di riconoscere le proprie emozioni e gestirle in maniera funzionale. Questo consente all’individuo di comunicarle efficacemente agli altri. Tutto ciò ha un impatto indubbiamente positivo anche sui contesti come quello familiare, sociale o scolastico. Non è raro che l’utente diventi a sua volta fonte di rispecchiamento e “modello” per i pari, così come per i propri fratelli o per le proprie sorelle.

Un laboratorio per gestire meglio le frustrazioni

Il lavoro che viene svolto aiuta, peraltro, a gestire in maniera più adeguata le frustrazioni e assiste l’utente nella comprensione delle strategie che possono abbassare i propri livelli di attivazione. Con il laboratorio, si promuove l’accettazione consapevole dei vissuti spiacevoli. Si contrasta così l’evitamento delle situazioni difficili. In altre parole, si spinge l’utente a sperimentarsi anche nelle situazioni per lui più complesse da gestire, in modo tale da favorire una apertura e disponibilità all’esperienza, piuttosto che una chiusura.

docente sostegno

L’insegnante di sostegno

Chi è l’insegnante di sostegno? Cosa fa in classe? Qual è il suo ruolo?

Una figura per l’integrazione

L’insegnante di sostegno è un professore, spesso specializzato, che garantisce e mette in atto la piena e concreta integrazione dello studente con disabilità all’interno del gruppo classe.

Un docente specializzato

Il docente di sostegno in ruolo è un insegnante con specializzazione. Ciò vuol dire che è stato adeguatamente formato per promuovere l’inclusione e l’integrazione degli studenti. Anche per questa ragione, il docente di sostegno è assegnato alla classe; ce lo dice la legge 104 del 1992.

Quante ore sta in classe?

A parte casi specifici e particolari, il numero di ore in cui il docente è presente in un dato gruppo classe è legato a quanto è scritto nei documenti per la richiesta del sostegno didattico.

Il docente di sostegno pianifica la didattica?

, anche il docente di sostegno si occupa di pianificare, organizzare e realizzare delle attività. L’insegnante ha proprio il compito di proporre al Consiglio di Classe una programmazione specifica per lo studente con disabilità. Tale programmazione si chiama, per esteso: Piano Educativo Individualizzato (PEI).

Come può essere il PEI?

Non tutti i PEI sono uguali, anzi, al contrario: c’è un PEI per ogni persona con disabilità. Ciò si deve al fatto che le normative vigenti tutelano la personalizzazione delle attività didattiche affinché tutti, nessuno escluso, possano conseguire degli obiettivi educativi. Esistono quindi due profili di PEI:

  1. Il PEI semplificato
  2. Il PEI differenziato

Semplificare o differenziare? Cosa cambia?

Tra i due PEI c’è parecchio divario. Il PEI semplificato, infatti, porta comunque al rilascio di un diploma a tutti gli effetti. Al contrario, il PEI differenziato si conclude con un semplice attestato di frequenza. È quindi molto importante che tutto il Gruppo di Lavoro Operativo per l’inclusione dell’Handicap valuti adeguatamente le potenzialità dello studente con disabilità, per non precludergli delle opportunità educative, formative o lavorative.

cyberbullismo

Contro il cyberbullismo

Si chiama cyberbullismo quel fenomeno che consiste nella ripetizione di atti aggressivi o molesti, compiuti tramite internet o strumenti telematici.

Conoscerlo per contrastarlo

È molto importante sapere che il cyberbullismo esiste, perché è fondamentale conoscerlo per contrastarlo. I minori sono ormai sempre più spesso muniti di dispositivi cellulari e vivono una vita in cui la dimensione digitale occupa uno spazio determinante.

Le recenti linee di orientamento del Ministero

Il varo della Legge 71 del 2017 ha ratificato l’adozione di Linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo. Si tratta di un insieme di disposizioni fortemente auspicate, che sensibilizzano al buon uso della rete e promuovono la sicurezza digitale.

Sono vittima di cyberbullismo: cosa devo fare?

Se sei minorenne, ma hai comunque più di 14 anni e ritieni di essere una vittima del cyberbullismo, tieni in considerazione che puoi fare diverse segnalazioni.

Se le aggressioni sono avvenute tramite un certo social network, puoi inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del social una richiesta di oscuramento, blocco o rimozione dei contenuti offensivi dalla rete.

Il gestore avrà 24 ore di tempo per provvedere ad accontentarti.

Se la tua richiesta non trova esaudimento, puoi sempre rivolgerti al Garante per la protezione dei dati personali, che cancellerà i contenuti entro 48 ore.

Il cyberbullismo non va sottovalutato

Il cyberbullismo fa diverse vittime. La prima vittima è colui che subisce l’aggressione. La seconda vittima è colui che la agisce. È molto importante che vi sia una rieducazione dell’aggressore, cioè del cyberbullo, attraverso attività riparatorie o socialmente utili.

Quindi, segnala un comportamento aggressivo: non subirlo. Aiuterai la società a fondare relazioni più sane e socialmente funzionali.

istruzione superiore

L’istruzione superiore

Il secondo ciclo di istruzione, ovvero la cosiddetta “istruzione superiore“, vuole preparare lo studente all’università o al mondo del lavoro. Orientarsi non è sempre facile, ecco perché vi illustriamo in linee generali di cosa si tratta.

Dopo la Riforma Moratti del 2003

La scuola superiore ha avuto due piste di studio parallele: quella dei licei e quella della formazione tecnico-professionale.

La riforma Gelmini

A partire dal 2010, la normativa legata alla riforma Gelmini è entrata in vigore. Così, il profilo della scuola superiore è in parte cambiato e le opzioni di scelta dello studente che conclude le scuole medie si dividono in tre principali alternative:

  1. Licei
  2. Istituti tecnici
  3. Istituti professionali

I licei

Attualmente, lo studente che volesse scegliere di frequentare un liceo, ha comunque l’imbarazzo della scelta. Al presente, infatti, i licei sono 6:

  1. classico
  2. scientifico
  3. linguistico
  4. artistico
  5. musicale e coreutico
  6. delle scienze umane

Come si vede, i vari licei vengono distinti per aree. Per questo, ciascun liceo ha le sue materie di indirizzo caratterizzanti.

Se ami le lingue antiche, farai bene a scegliere il classico; se hai una buona predilezione per le lingue moderne, allora il linguistico fa per te. Se sei una mente matematica potrai cogliere l’occasione di iscriverti allo scientifico, se hai un talento artistico-musicale, potrai scegliere un liceo che valorizza le tue doti innate. Se la tua attitudine è già di tipo psicologico e relazionale, rifletti se non sia il caso di rivolgerti alle scienze umane.

Gli istituti tecnici

Allo stato attuale, l’offerta formativa degli istituti tecnici si divide in due settori fondamentali:

  1. economico
  2. tecnologico

Del primo gruppo fanno parte gli indirizzi: amministrativo, finanziario, turistico. Nel secondo ambito, invece, potrai trovare gli indirizzi legati alla meccanica, alla logistica, all’elettrotecnica, fra gli altri, o all’informatica, alla chimica, alla moda o alle costruzioni.

Istituti professionali

Molte persone fanno confusione tra istituti tecnici ed istituti professionali. In realtà, come si può vedere, si tratta di due tipi diversi di formazione.

Una formazione rivolta al lavoro

Gli istituti professionali riguardano il settore:

  1. agricolo
  2. ittico
  3. artigianale
  4. ambientale
  5. enogastronomico o alberghiero
  6. culturale
  7. sanitario e assistenziale
  8. ausiliario

L’organizzazione annuale

Anche i percorsi di studio degli istituti tecnici sono articolati in due bienni e un anno conclusivo. I vari percorsi sono stati pensati per facilitare l’ingresso dello studente nel mondo del lavoro. A questo scopo, sono previsti stage, tirocini e percorsi di alternanza scuola/lavoro.

teoria della ghianda

La teoria della ghianda

Sotto questo bizzarro titolo, di «teoria della ghianda», si può trovare un’idea, per certi versi mitica e rivoluzionaria.

Ce ne parla James Hillman

Psicoanalista e saggista degli USA, Hillman (scomparso nel recente 2011) ha consegnato alle pagine del suo libro Il codice dell’anima la teoria in questione.

Di che si tratta?

La teoria della ghianda presuppone che ciascun individuo abbia, fin dalla nascita (e forse persino da prima!) una vocazione, un talento innato, un’abilità che gli viene “naturale“, “facile“, per innatismo.

La metafora “realistica”

Hillman paragona questa vocazione all’energia vitale insita nella ghianda. Ogni ghianda contiene in sé la futura quercia, così come a sua volta la quercia è in grado di generare nuove ghiande, in un circolo bellissimo e vitale.

Perché una ghianda non può generare un abete?

Se rivolgessimo questa domanda ad un agrotecnico, saremmo fortunati se questi avrà la buona creanza di non riderci in faccia.

Tutti, infatti, accettano immediatamente l’idea che una ghianda non possa e non potrà mai generare né un melo, né un ciliegio, né un abete.

Eppure le cose non sembrano essere così chiare su un livello più “pedagogico”.

Nel campo della pedagogia

Nel dominio dell’educazione, nel campo della pedagogia, solo i professionisti più illuminati sanno fare un parallelo tra la teoria della ghianda e l’educazione in età infantile o evolutiva.

Quante volte imponiamo un “dover essere” al bambino, alla bambina… che hanno invece il loro stile, le loro predilezioni?

Cosa ci insegna Hillman

Hilmann ci ricorda, in questo senso, che durante l’infanzia tendono ad emergere tratti innati della personalità (è la ghianda che manifesta il suo voler essere quercia e non frassino, non pruno, né melo).

Un buon educatore, un bravo pedagogo dovrà quindi riconoscere nelle impuntature, nel capriccio, nelle ostinazioni del bambino, in quell’orgoglio pronunciato e forte… il profilo dell’uomo e della donna futuri, così che la quercia cresca sana, vigorosa e fruttuosa.

5 per 1000

Quando si parla di redditi e imposte, si sa, ci si arrischia sempre in un argomento delicato. Eppure in questo periodo abbiamo anche l’occasione di scegliere a chi destinare la nostra quota Irpef del 5 per 1000.

Se non hai ancora scelto…

Se sei in dubbio e non hai ancora preso una decisione in merito alla destinazione del tuo 5 per 1000, Ohana è qui per candidarsi come realtà territoriale dedita alle attività socialmente rilevanti.

Perché devolvere il 5 per 1000 ad Ohana?

Ci sono tre valide ragioni per cui Ohana è la Società Cooperativa Onlus che potrebbe meritare il tuo prezioso contributo economico.

Ohana è attenta al tema della disabilità

Con il tuo 5 per 1000 potremo finalmente donare risorse didattiche e strumenti che possano agevolare l’inclusione di bambini e ragazzi con disabilità.

Ohana è esperta in Bisogni Educativi Speciali

Proprio per la sua pluriennale esperienza nel campo della didattica, dell’educazione e, soprattutto, dei Bisogni Educativi Speciali (BES), Ohana ha maturato una profonda consapevolezza delle strategie con cui il successo formativo e l’autonomia di ciascun bambino o ragazzo possano realizzarsi.

Con il tuo 5 per 1000 potrai aiutare la cooperativa a donare strumenti digitali per far fronte a questo genere di bisogni.

Ohana ama il verde: l’ossigeno della vita

Con il tuo 5 per 1000 Ohana potrà realizzare un progetto che le sta particolarmente a cuore: seminare alberi e piantine nei giardini delle scuole. Ohana è convinta che i piccoli gesti siano i più incisivi. Quale progetto migliore di questo, allora, per una sana educazione ambientale?

Se vuoi segnalare Ohana al tuo commercialista, eccoti il Codice Fiscale: 15453341008

Grazie per aver pensato a noi!

Feste itineranti

È attiva la nuova iniziativa di Ohana delle “Feste itineranti“, un bel modo festeggiare un compleanno alternativo!

feste itineranti

Non puoi festeggiare in grande?

Nessun problema: Ohana ha pensato a tutto! Per supportare le famiglie durante l’emergenza da coronavirus, il team di Ohana metterà a tua disposizione un ‘box‘ contenente giochi e attività per permettere a te, che sei il festeggiato, e ai tuoi parenti di vivere un compleanno indimenticabile!

Il nostro divertimento “in scatola”!

Non è uno slogan da pop art, né un modo di dire, ma una realtà. Nel box che Ohana ti offre, troverai video e vari materiali con cui potrai mettere alla prova le tue capacità e quelle della tua famiglia… per passare una giornata in allegria!

Scegli il tuo tema e… buon divertimento!

Sei un esploratore? Un avventuriero? Un piccolo cuoco… una lettrice vorace? O forse sei un’artista dai colori sgargianti? Ho capito… sei un piccolo scienziato, un alchimista, un mago! Benissimo, allora non ti resta che contattarci e richiedere il box più adatto a te… Cosa aspetti? Noi siamo a tua disposizione!

epilessia

L’epilessia

Sapere per aiutare

L’epilessia è una malattia neurologica contraddistinta da periodiche “crisi“. Si tratta di crisi che a scuola sono difficilmente gestibili se il personale docente o scolastico non è adeguatamente preparato.

Le crisi epilettiche

I fenomeni critici dell’epilessia consistono in vere e proprie “scariche elettriche” da corto circuito del tessuto neuronale. Le crisi arrivano all’improvviso. Difficili da prevenire, hanno una sintomatologia penalizzante. Il soccorso immediato del bambino o del ragazzo epilettico può davvero salvargli la vita e prevenire danni permanenti.

L’impatto dell’epilessia sulla vita del bambino e dei suoi familiari

Convivere con la patologia dell’epilessia non è impossibile. Tuttavia, non bisogna trascurare l’impatto psicologico e sociale della malattia. Nella maggior parte dei casi, l’epilessia si manifesta in età prescolare. Di conseguenza, tra l’infanzia e la prima scolarizzazione, il bambino si trova catapultato in un mondo complesso, fatto di crisi improvvise e quasi imprevedibili, la cui gestione necessita dell’aiuto altrui.

Le paure di chi è affetto da epilessia

Chi soffre di epilessia vive nel costante timore che la “scarica elettrica” arrivi ad interrompere le attività quotidiane, motorie, sociali. È piuttosto frequente che il bambino epilettico accusi una certa ansia anticipatoria che rende invivibili anche i momenti di salute lontani dalle crisi.

Le paure di chi assiste alla crisi

Eppure, l’epilessia può terrorizzare di più chi non ne soffre, paradossalmente. Il fatto che l’epilettico durante le crisi possa fare cose “anomale”, perdere il contatto con l’ambiente, cadere, agitarsi, masticare, perdere i liquidi orali, gesticolare, essere preso da convulsioni… finisce spesso per terrorizzare chi osserva spaventato e invece vorrebbe intervenire.

Mi è sembrato che morisse. Sembrava morto…

Queste sono le tipiche frasi pronunciate da chi assiste accidentalmente ad una crisi epilettica altrui.

Il soccorritore può porre fine alle paure di tutti

Una soluzione c’è. Va detto. Soccorrere un epilettico è un atto eroico ma anche piuttosto semplice, se non ci si fa prendere dal panico. Esiste, infatti, un farmaco a somministrazione orale che va introdotto nella bocca del bambino o del ragazzo epilettico. Tale farmaco, che il bambino affetto da epilessia avrà sempre con sé, serve ad impedire che le crisi si prolunghino nel tempo. Le crisi prolungate possono infatti danneggiare irreversibilmente il sistema nervoso del bambino, producendo danni permanenti.

Lo stigma che pregiudica l’inclusione

L’inserimento di un bambino epilettico nella vita sociale, scolastica o sportiva può sembrare difficoltoso. Vi è un pregiudizio piuttosto diffuso, in questo senso. Insegnanti, educatori, professionisti, allenatori possono lasciarsi trascinare dall’ansia, facendo ragionamenti non molto lucidi. Può mettere paura avere a che fare con bambini epilettici, soggetti a crisi periodiche. Tuttavia, la farmacologia, la medicina e la pratica del soccorso hanno reso possibile integrare in tutto e per tutto i bambini epilettici nelle normali attività quotidiane, sociali, scolastiche e sportive.

Quando i genitori stessi tacciono…

Può addirittura succedere che siano i genitori stessi ad omettere il quadro diagnostico del proprio figlio, preferendo non parlare dell’epilessia. Nel loro pensiero si illudono di tutelare il corpo insegnante, le società sportive, i vari professionisti davanti alla paura di dover soccorrere il bambino durante una crisi. In realtà, in questo modo si peggiora la situazione del malato: la sua ansia si aggraverà e nessuno sarà davvero preparato quando lui ne avrà effettivo bisogno.

Quindi?

La soluzione sta nel conoscere, nell‘imparare a soccorrere, nel tenere sempre vive le comunicazioni che riguardano i casi epilettici. La soluzione consiste nel fare rete, nel sentirsi parte di un tutto: nel saper dire «io ci sono e so cosa fare».

burn out madri

Burn-out materno: 3 consigli per le madri

Si parla spesso di “burn-out” un termine inglese che ha a che fare con l’esaurimento delle energie mentali e fisiche. Meno spesso, però, si parla dell’impatto di questo fenomeno all’interno delle famiglie e, più precisamente, rispetto alle madri.

La genitorialità è un’impresa eroica!

Di per sé, la genitorialità ha qualcosa di divino e di eroico. Non è retorica: mettere al mondo un figlio, offrirgli tutto ciò di cui si è capaci, interpretare adeguatamente i suoi bisogni, soddisfarli, assisterli nella crescita… non è una missione… sono tante missioni insieme!

La diade madre-bambino

Se la genitorialità è tanto complessa, difficile benché naturale, la maternità lo è all’ennesima potenza.

Donald Winnicott, psichiatra e psicoanalista britannico del Novecento, conosceva bene l’importanza fondamentale della madre, soprattutto nei primissimi mesi di vita del bambino.

Secondo Winnicott, in una fase infantile e neonatale non esiste altro che una diade madre-bambino. Tutto il resto del mondo verrà “creato” e rimodellato in base a questa relazione originaria e fondativa.

Il maternage: una fase essenziale

Si capisce facilmente, allora, che nei primi mesi di vita di un neonato, le responsabilità della madre sono incommensurabili. Nonostante con il tempo le cose possano cambiare, alleggerirsi, evolvere, la centralità del ruolo materno viene difficilmente messa in discussione.

I bambini crescono, diventano preadolescenti, poi adolescenti, ma soprattutto nei paesi mediterranei, com’è noto, la madre, pur venendo in parte ridimensionata, resta il perno della famiglia.

Quando le responsabilità sono troppe…

Non è raro, peraltro, che le madri vivano momenti durissimi anche nelle loro vite individuali. Una separazione, un divorzio, l’instabilità della salute di qualche caro… Sono eventi piuttosto frequenti che, purtroppo, aggravano il peso che la madre porta sulle spalle.

Madri lavoratrici

Non è un caso che si cominciò a parlare del “burn-outmaterno durante gli anni Settanta, quando i movimenti per l’emancipazione delle donne avevano cominciato a puntare i riflettori sulle enormi fatiche delle donne che volevano avere sia un lavoro, sia una famiglia.

Queste donne ambiziose, indipendenti, autonome, “tuttofare”, spesso reputate troppo audaci anche dalla mentalità del patriarcato, sono ormai dappertutto e sono i veri pilastri della nostra società.

Quasi sempre reperibili, sia in famiglia che a lavoro, indaffarate, multitasking… ottimizzano il tempo come nessun altro sa fare.

Il centro di tutto

Proprio dando per scontato che le madri sono al centro di tutto: della vita dei figli, della vita di coppia, del planning settimanale, del lavoro in azienda, in ufficio, in negozio o in casa… si arriva ad un punto critico.

Alcune madri sentono un progressivo impoverimento delle loro risorse, delle loro energie, del loro ottimismo. C’è chi si sente “inefficace”, “in colpa”, “depotenziata”. Qualcuna si chiede: «Cosa mi succede?»

Succede che ci si trova in una fase critica, in cui va ripensata la gestione della realtà familiare, sociale e lavorativa.

A questo scopo, Ohana vuole offrire a tutte le madri tre generici consigli che possono favorire un cambio di prospettiva.

Rinuncia al perfezionismo

Sì, senza dubbio, a volte c’è davvero troppo da fare: pianificare la routine di tutti i familiari, gestire il lavoro, pensare alla casa… e la sensazione di dover trascurare qualcosa o, peggio, qualcuno si fa pressante. Può sembrare un suggerimento banale, eppure rinunciare al perfezionismo può rappresentare una svolta nella vita di tutti i giorni, alleggerendo le azioni quotidiane da quel senso di oppressione che può far persino paura. Trova il tuo ritmo, la tua andatura: fai ciò che puoi e concediti di non essere sempre al top!

Chiedi aiuto, affidando piccole cose a ciascuno!

Spesso possiamo arrivare a pensare che chiedere aiuto sia già un fallimento. Errore! Chiedere aiuto è un’opportunità per tutti i componenti di una famiglia. I genitori possono poco a poco responsabilizzare i propri figli, affidando piccoli e agevoli compiti ai ragazzi, mandando così un messaggio importantissimo di sinergia e di collaborazione.

Condividi con gli altri pensieri, preoccupazioni e speranze

Accade di frequente che le madri si tengano “tutto dentro”, accettando per misteriose ragioni di dover convivere con le loro preoccupazioni, con i loro pensieri, con le loro speranze e ambizioni. Per quanto lodevole, il loro desiderio di essere indipendenti e autosufficienti può portarle ad essere fraintese o incomprese. La condivisione dei vissuti interiori può, in questo caso, avere il duplice valore di oggettivare l’interiorità, comunicando, portando i cari, al contempo, a conoscere quante energie ci sono dietro alla routine quotidiana.

Care mamme, amare necessita di grandi energie. Accettatelo e ricaricatevi!

percepire corpo

La percezione del corpo

Durante l’infanzia il corpo è un grande spazio da esplorare, da conoscere, da mettere alla prova. Se tuo figlio ha 3, 4 o 5 anni, stando chiuso in casa per le restrizioni del coronavirus, ha ancora molte possibilità di fare esperienze significative nella percezione di .

Un gioco da fare in casa

Conoscere il proprio corpo significa metterlo a contatto con la realtà esterna e provare a farsi un’idea, una rappresentazione mentale, di come il corpo è fatto o di come funzioni. Ohana ti propone qui una semplice attività con cui potrai incoraggiare tuo figlio o tua figlia a conoscersi meglio.

Materiali (o ingredienti?)

Fruga nella dispensa: cosa trovi? Un cartone quasi finito di farina di semola? Buono! Un pacchetto di ceci da mettere a bagno? Dei fagioli cannellini che avevi dimenticato? Qualche lenticchia! Perfetto!

Tranquillo, non ti costringerò a cucinare una zuppa di legumi… È che il nostro gioco comincia proprio così!

Evita le forme acuminate

Prendi del riso, poi un po’ di cous cous, una manciata di lenticchie, il pacco di cannellini e tutto ciò che può ispirarti. Meglio, se si tratta di granelli tondeggianti che non possono né graffiare, né pungere a contatto con la pelle. Evitiamo quindi quadrotti, stelline e altre forme “spigolose”.

Prendi delle scatole o dei contenitori

Possono essere dei tupperware di grandi dimensioni, oppure delle scatole da scarpe. Riponi i semi e/o i legumi in contenitori diversi. Considera che i contenitori che userai dovranno poter contenere… i piedini di tuo figlio o di tua figlia!

Finalmente si gioca!

Per evitare che il tuo bambino possa avere la tentazione di ingerire i semi, i legumi o i granelli che hai messo nei vari contenitori, giocherete in questo modo. Terrai per le mani tuo figlio e lo accompagnerai per qualche passo, permettendogli di poggiare le piante dei suoi delicati piedini… dentro ad un contenitore per volta.

La pianta del piede è molto sensibile!

La riflessologia, ad esempio, è interamente basata su questo assunto: sulla superficie plantare c’è una vera e propria mappa di corrispondenze con tutti gli organi e apparati del nostro corpo.

“Immergendo” i suoi piedini nei contenitori di ceci, riso, cous cous e lenticchie, tuo figlio potrà non solo percepire il suo corpo, reagire agli stimoli, farsi un’idea dell’oggetto con cui è venuto a contatto, ma anche stimolare “di riflesso” le sue parti del corpo più interne.

Scatta qualche foto!

Se hai qualcuno accanto a te, mentre tu tieni per mano il tuo cucciolo… d’uomo… Non perdere l’occasione di immortalare le smorfie o le espressioni che tuo figlio o tua figlia farà… nel “sentire” a piedi nudi… la differenza tra ceci e fagioli… Saranno scene indimenticabili!