Ohana

A volte i sogni si realizzano, ci dice Valentina Peri

La parola a Valentina Peri, assistente sociale, fondatrice di Ohana e figura fondamentale della Cooperativa Sociale Onlus.

Abbiamo intervistato Valentina per capire com’è nata l’idea di Ohana e come ha potuto diventare oggi la bellissima realtà inclusiva che è attualmente. Ecco cosa ci ha rivelato.

Come ti è venuto il lampo di genio di fondare Ohana?

“Ohana” è stata una buona idea dopo tanta osservazione: tutto quello che avevo sperimentato nel tempo post laurea tra tirocini, esperienze di volontariato, esperienze professionali nel terzo settore e nelle scuole mi ha dato l’ispirazione giusta.

«Sapevo ciò che non volevo»

Avevo ben chiaro quello che non volevo fare e dove non volevo realizzarlo. Insomma sapevo tutto quello che non volevo essere e guardavo con stupore e meraviglia gli approcci integrati, i metodi multidisciplinari, i luoghi di scambio e confronto di Reggio Emilia, di Barbiana, del nord Europa.

Sognavo ad occhi aperti un posto grande, per tutti!

Mi sono lasciata guidare dall’immaginazione di un posto grande (quello che “Ohana” deve ancora diventare) per tutti, una scuola rivoluzionaria, dove ci si potesse prendere cura di tutti, in modo completo, come insegna Don Milani

«I care», diremmo in inglese. «A me importa!»

Sognavo un posto in cui occuparmi di tutto ciò che amo, dalla didattica alternativa alla possibilità di fare ricerca e sperimentazione, dalla pedagogia del fare alla cooperazione tra bambini, dalla solidarietà tra ragazzi all’attenzione dell’osservazione dei terapisti e terapeuti, con un occhio alla scuola pubblica, sempre.

Valentina, potresti dirci Ohana in 3 parole?

Certo, Ohana secondo me è possibilità, ispirazione e inclusione.

Possibilità

Ohana è possibilità di sperimentare il proprio percorso. Tutto può essere ripensato, riprogrammato, re-immaginato. Perché? Perché tutto muta, cambia, si trasforma.

Ispirazione

Ohana accoglie il cambiamento senza paura, accetta le possibilità nuove, si lascia ispirare dalle storie delle persone, dei suoi bambini, dei ragazzi e delle loro famiglie.

Inclusione

Ohana cerca fortemente di diffondere i suoi valori dandosi come grande obiettivo l’inclusione, perché i valori di Ohana siano davvero per tutti e condivisi da tutti.

Cosa hai messo nella tua valigia delle competenze?

Come assistente sociale dovrei citare il codice deontologico e i miei mandati, quello istituzionale e quello sociale. Sento molto fortemente la mia vocazione e il mio ruolo.

Nella mia cassetta degli attrezzi c’è l’autoformazione e la documentazione.

Ovviamente nella mia “cassetta degli attrezzi” ci sono gli strumenti tecnici, la documentazione, che è il come cuore del mio fare professionale.

Comunque, io penso di essere la creativa che osserva, ascolta, fa analisi e individua i bisogni immaginando progetti e percorsi possibili. Mi sembra, a volte di vedere nelle persone tutto quello che possono essere e fare, tutte le loro risorse.

Mi piace pensare che Ohana sia quella spinta che fa emergere i talenti e le potenzialità delle persone, così da permettere loro di trovare la strada.

Ohana può e deve ancora crescere. In quale direzione?

Penso che noi di Ohana dobbiamo continuare a formarci, a farci domande, ad aprire le porte e accogliere nuovi approcci. È compito nostro ripensare cosa stia funzionando e cosa no. Siamo una realtà giovane e abbiamo ancora tanto da imparare. Sicuramente non abbiamo ceduto a facili alleanze, tuttavia il percorso verso una polo educativo rivoluzionario è in atto!

Quali sono gli assi nella manica delle risorse umane di Ohana?

Posso dirlo in cinque punti: professionalità, creatività, capacità di stare e sentire il gruppo, flessibilità e apertura

Ohana consiste in gruppo multidisciplinare professionalmente giovane ma fortemente motivato e preparato. 

Cosa sarà Ohana di qui in avanti?

Ohana sarà un posto sperimentale, che non avrà paura dell’innovazione e di fare qualcosa che nessuno ha mai fatto prima. Sarà un posto capace di mantenere salda la sua mission e non scorderà mai le sue radici. Sarà perciò un posto per grandi e piccini. Sarà un metodo, un nuovo approccio, una nuova ispirazione!

epilessia

L’epilessia

Sapere per aiutare

L’epilessia è una malattia neurologica contraddistinta da periodiche “crisi“. Si tratta di crisi che a scuola sono difficilmente gestibili se il personale docente o scolastico non è adeguatamente preparato.

Le crisi epilettiche

I fenomeni critici dell’epilessia consistono in vere e proprie “scariche elettriche” da corto circuito del tessuto neuronale. Le crisi arrivano all’improvviso. Difficili da prevenire, hanno una sintomatologia penalizzante. Il soccorso immediato del bambino o del ragazzo epilettico può davvero salvargli la vita e prevenire danni permanenti.

L’impatto dell’epilessia sulla vita del bambino e dei suoi familiari

Convivere con la patologia dell’epilessia non è impossibile. Tuttavia, non bisogna trascurare l’impatto psicologico e sociale della malattia. Nella maggior parte dei casi, l’epilessia si manifesta in età prescolare. Di conseguenza, tra l’infanzia e la prima scolarizzazione, il bambino si trova catapultato in un mondo complesso, fatto di crisi improvvise e quasi imprevedibili, la cui gestione necessita dell’aiuto altrui.

Le paure di chi è affetto da epilessia

Chi soffre di epilessia vive nel costante timore che la “scarica elettrica” arrivi ad interrompere le attività quotidiane, motorie, sociali. È piuttosto frequente che il bambino epilettico accusi una certa ansia anticipatoria che rende invivibili anche i momenti di salute lontani dalle crisi.

Le paure di chi assiste alla crisi

Eppure, l’epilessia può terrorizzare di più chi non ne soffre, paradossalmente. Il fatto che l’epilettico durante le crisi possa fare cose “anomale”, perdere il contatto con l’ambiente, cadere, agitarsi, masticare, perdere i liquidi orali, gesticolare, essere preso da convulsioni… finisce spesso per terrorizzare chi osserva spaventato e invece vorrebbe intervenire.

Mi è sembrato che morisse. Sembrava morto…

Queste sono le tipiche frasi pronunciate da chi assiste accidentalmente ad una crisi epilettica altrui.

Il soccorritore può porre fine alle paure di tutti

Una soluzione c’è. Va detto. Soccorrere un epilettico è un atto eroico ma anche piuttosto semplice, se non ci si fa prendere dal panico. Esiste, infatti, un farmaco a somministrazione orale che va introdotto nella bocca del bambino o del ragazzo epilettico. Tale farmaco, che il bambino affetto da epilessia avrà sempre con sé, serve ad impedire che le crisi si prolunghino nel tempo. Le crisi prolungate possono infatti danneggiare irreversibilmente il sistema nervoso del bambino, producendo danni permanenti.

Lo stigma che pregiudica l’inclusione

L’inserimento di un bambino epilettico nella vita sociale, scolastica o sportiva può sembrare difficoltoso. Vi è un pregiudizio piuttosto diffuso, in questo senso. Insegnanti, educatori, professionisti, allenatori possono lasciarsi trascinare dall’ansia, facendo ragionamenti non molto lucidi. Può mettere paura avere a che fare con bambini epilettici, soggetti a crisi periodiche. Tuttavia, la farmacologia, la medicina e la pratica del soccorso hanno reso possibile integrare in tutto e per tutto i bambini epilettici nelle normali attività quotidiane, sociali, scolastiche e sportive.

Quando i genitori stessi tacciono…

Può addirittura succedere che siano i genitori stessi ad omettere il quadro diagnostico del proprio figlio, preferendo non parlare dell’epilessia. Nel loro pensiero si illudono di tutelare il corpo insegnante, le società sportive, i vari professionisti davanti alla paura di dover soccorrere il bambino durante una crisi. In realtà, in questo modo si peggiora la situazione del malato: la sua ansia si aggraverà e nessuno sarà davvero preparato quando lui ne avrà effettivo bisogno.

Quindi?

La soluzione sta nel conoscere, nell‘imparare a soccorrere, nel tenere sempre vive le comunicazioni che riguardano i casi epilettici. La soluzione consiste nel fare rete, nel sentirsi parte di un tutto: nel saper dire «io ci sono e so cosa fare».