intervista Scarpelli

Intervista alla Dott.ssa Serena Scarpelli

Marta Mariani ha intervistato per Ohana la Dott.ssa Serena Scarpelli per offrire ai nostri utenti una panoramica sullo svolgimento dei laboratori terapeutici e sulle loro potenzialità.

Serena, tu ti occupi di laboratori terapeutici per preadolescenti che hanno delle difficoltà nel riconoscere e nel gestire le emozioni. In che cosa consistono esattamente le attività laboratoriali?

Il laboratorioterapia prevede ad ogni incontro una parte psico-educativa. I partecipanti ricevono delle informazioni su un tema, cioè su una emozione su cui si concentrerà la parte esperienziale del laboratorio. In questa seconda parte i ragazzi si mettono in gioco, sperimentando in diverse simulazioni le situazioni critiche tipiche del loro vissuto.

Mettere in scena le emozioni

Spesso il tema centrale è la gestione della paura. I ragazzi scelgono in genere una situazione, come un compito in classe o un’interrogazione, in cui hanno provato questa emozione e la metteranno in scena. Nelle esperienze di laboratorio ci sono dei protagonisti e degli osservatori. Si ragiona insieme su alcune variabili che sono fondamentali per il riconoscimento dell’emozione.

Usiamo delle domande guida

La Dott.ssa Serena Scarpelli

Le domande guida sono fondamentali: come stava il corpo? qual era l’espressione del volto? Quali sono i pensieri che possono essere passati per la mente alle persone coinvolte nella situazione e, nello specifico, nel momento in cui si è provata l’emozione di paura? Quali comportamenti vengono messi in atto?

L’obiettivo

L’obiettivo, in linea con quello che è il mio approccio (psicoterapia ad indirizzo cognitivo), è sostanzialmente quello di comprendere la relazione tra pensiero, emozione e comportamento, con un’attenzione cruciale anche al corpo. È la base per poter riconoscere, comunicare e gestire le emozioni in maniera adeguata.

Poco fa hai utilizzato l’espressione «alfabetizzazione emotiva». Mi ha colpito molto, facendomi pensare che le emozioni vanno codificate e decodificate un po’ come la scrittura. Potresti spiegarci perché le emozioni sono spesso difficili da capire e da interpretare?

Ci sono delle emozioni di base che secondo studi scientifici sembrano essere condivise a prescindere dalla cultura degli individui. Si tratta di emozioni che vengono quindi codificate e decodificate nel medesimo modo in tutte le popolazioni. Ad esempio, la gioia viene espressa mediante il sorriso in maniera universale. Nonostante ciò, è spesso difficile riconoscere anche le emozioni di base (gioia, paura, rabbia, disgusto, tristezza), per diverse ragioni. Prima di tutto non sempre si è in grado di comprendere cosa ci sta comunicando il nostro corpo. Ad esempio, non tutti “si ascoltano” nello stesso modo. Non tutti si rendono pienamente conto che la rabbia corrisponde anche ad una sensazione di calore, o ad una maggiore attivazione della parte superiore de corpo. Inoltre, bisogna considerare, che le emozioni mutano rapidamente. Ad una emozione di rabbia, può seguire spesso quella di tristezza e non sempre siamo consapevoli di tali evoluzioni. Infine, spesso è difficile spiegare le emozioni a parole. Occorre maturare un linguaggio “emotivo” per poterle comunicare correttamente agli altri.

I laboratori di cui ti occupi sono rivolti per lo più ai preadolescenti. Ci sono delle criticità che possono essere ricondotte proprio a questa fascia di età? Dei problemi diffusi o generalizzati? Delle insicurezze tipiche di questa fase?

La preadolescenza è una fase molto delicata della crescita dell’individuo. Basti pensare che, durante le scuole medie, avvengono molti cambiamenti fisiologici che trasformano il bambino in un ragazzo, e che, tanti di questi mutamenti sono manifesti e spesso fonte di disagio, di insicurezze o di allarme da parte dell’individuo stesso.

Il confronto con i “pari”

La preadolescenza è una fase in cui i ragazzi iniziano in maniera più evidente a confrontarsi con i pari, preparandosi a ricercare e costruire una propria identità. Le problematiche riferite dai preadolescenti sono legate, di frequente, ad una competenza non del tutto acquisita nel relazionarsi con gli altri, nel dire la propria opinione o nel gestire una situazione conflittuale.

Paura del giudizio

Il timore del giudizio è massicciamente presente nei loro racconti. Quest’ultimo è in genere legato al contesto scolastico, dove i ragazzi vivono una certa ansia di “fare brutta figura” con i compagni di classe. Sono problemi diffusi, preoccupazioni condivise che, in molti casi necessitano dell’apprendimento di nuovi “strumenti” per essere adeguatamente gestite. Vale la pena sottolineare che potenziare le abilità di ovviare alle “emozioni difficili” può servire anche per il futuro.

Il lavoro che tu svogli con i ragazzi ha un impatto positivo anche in altri contesti sociali o a scuola? Quali risultati può sperare di ottenere un utente del laboratorio?

L’utente, quindi il ragazzo o la ragazza che partecipa al laboratorio, matura la capacità di riconoscere le proprie emozioni e gestirle in maniera funzionale. Questo consente all’individuo di comunicarle efficacemente agli altri. Tutto ciò ha un impatto indubbiamente positivo anche sui contesti come quello familiare, sociale o scolastico. Non è raro che l’utente diventi a sua volta fonte di rispecchiamento e “modello” per i pari, così come per i propri fratelli o per le proprie sorelle.

Un laboratorio per gestire meglio le frustrazioni

Il lavoro che viene svolto aiuta, peraltro, a gestire in maniera più adeguata le frustrazioni e assiste l’utente nella comprensione delle strategie che possono abbassare i propri livelli di attivazione. Con il laboratorio, si promuove l’accettazione consapevole dei vissuti spiacevoli. Si contrasta così l’evitamento delle situazioni difficili. In altre parole, si spinge l’utente a sperimentarsi anche nelle situazioni per lui più complesse da gestire, in modo tale da favorire una apertura e disponibilità all’esperienza, piuttosto che una chiusura.

docente sostegno

L’insegnante di sostegno

Chi è l’insegnante di sostegno? Cosa fa in classe? Qual è il suo ruolo?

Una figura per l’integrazione

L’insegnante di sostegno è un professore, spesso specializzato, che garantisce e mette in atto la piena e concreta integrazione dello studente con disabilità all’interno del gruppo classe.

Un docente specializzato

Il docente di sostegno in ruolo è un insegnante con specializzazione. Ciò vuol dire che è stato adeguatamente formato per promuovere l’inclusione e l’integrazione degli studenti. Anche per questa ragione, il docente di sostegno è assegnato alla classe; ce lo dice la legge 104 del 1992.

Quante ore sta in classe?

A parte casi specifici e particolari, il numero di ore in cui il docente è presente in un dato gruppo classe è legato a quanto è scritto nei documenti per la richiesta del sostegno didattico.

Il docente di sostegno pianifica la didattica?

, anche il docente di sostegno si occupa di pianificare, organizzare e realizzare delle attività. L’insegnante ha proprio il compito di proporre al Consiglio di Classe una programmazione specifica per lo studente con disabilità. Tale programmazione si chiama, per esteso: Piano Educativo Individualizzato (PEI).

Come può essere il PEI?

Non tutti i PEI sono uguali, anzi, al contrario: c’è un PEI per ogni persona con disabilità. Ciò si deve al fatto che le normative vigenti tutelano la personalizzazione delle attività didattiche affinché tutti, nessuno escluso, possano conseguire degli obiettivi educativi. Esistono quindi due profili di PEI:

  1. Il PEI semplificato
  2. Il PEI differenziato

Semplificare o differenziare? Cosa cambia?

Tra i due PEI c’è parecchio divario. Il PEI semplificato, infatti, porta comunque al rilascio di un diploma a tutti gli effetti. Al contrario, il PEI differenziato si conclude con un semplice attestato di frequenza. È quindi molto importante che tutto il Gruppo di Lavoro Operativo per l’inclusione dell’Handicap valuti adeguatamente le potenzialità dello studente con disabilità, per non precludergli delle opportunità educative, formative o lavorative.

cyberbullismo

Contro il cyberbullismo

Si chiama cyberbullismo quel fenomeno che consiste nella ripetizione di atti aggressivi o molesti, compiuti tramite internet o strumenti telematici.

Conoscerlo per contrastarlo

È molto importante sapere che il cyberbullismo esiste, perché è fondamentale conoscerlo per contrastarlo. I minori sono ormai sempre più spesso muniti di dispositivi cellulari e vivono una vita in cui la dimensione digitale occupa uno spazio determinante.

Le recenti linee di orientamento del Ministero

Il varo della Legge 71 del 2017 ha ratificato l’adozione di Linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo. Si tratta di un insieme di disposizioni fortemente auspicate, che sensibilizzano al buon uso della rete e promuovono la sicurezza digitale.

Sono vittima di cyberbullismo: cosa devo fare?

Se sei minorenne, ma hai comunque più di 14 anni e ritieni di essere una vittima del cyberbullismo, tieni in considerazione che puoi fare diverse segnalazioni.

Se le aggressioni sono avvenute tramite un certo social network, puoi inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del social una richiesta di oscuramento, blocco o rimozione dei contenuti offensivi dalla rete.

Il gestore avrà 24 ore di tempo per provvedere ad accontentarti.

Se la tua richiesta non trova esaudimento, puoi sempre rivolgerti al Garante per la protezione dei dati personali, che cancellerà i contenuti entro 48 ore.

Il cyberbullismo non va sottovalutato

Il cyberbullismo fa diverse vittime. La prima vittima è colui che subisce l’aggressione. La seconda vittima è colui che la agisce. È molto importante che vi sia una rieducazione dell’aggressore, cioè del cyberbullo, attraverso attività riparatorie o socialmente utili.

Quindi, segnala un comportamento aggressivo: non subirlo. Aiuterai la società a fondare relazioni più sane e socialmente funzionali.