Camp 2022

Cinque giorni di entusiasmo per l’edizione 2022 del Camp di Ohana!

Cos’è?

Ohana Camp consiste in un soggiorno estivo. In questo anno l’uscita di più giorni è calendarizzata dal 18 al 22 di luglio.

Il campo estivo è pensato per offrire agli adolescenti delle esperienze educative piene di significato, utili per l’affinamento di competenze sociali e relazionali e per il consolidamento di abilità più tecniche, purtroppo recentemente trascurate a causa del confinamento del periodo covid.

A chi è rivolto?

Preadolescenti e adolescenti dai 13 ai 18 anni sono invitati a partecipare! Il Camp è pensato per loro, per consentire loro di vivere delle esperienze coinvolgenti ed emozionanti nella natura!

È infatti noto che passeggiare nella natura e respirare aria pulita aiuta a disintossicarsi dallo stress, a ritrovare un equilibrio interno, pacifica i conflitti emotivi e riporta le persone al centro di se stesse. Sono tutti ottimi motivi per partecipare al Camp e sperimentarsi in nuovi contesti!

Dove si terrà?

Il Camp di Ohana si svolge sempre in località naturalistiche mozzafiato! Per questa estate, Ohana proporrà ai partecipanti delle esperienze educative e riequilibranti (dopo la faticosa pandemia e il confinamento dell’ultimo biennio) presso il Parco Nazionale d’Abruzzo, a Civitella Alfedena!

Curioso di saperne di più?

Ohana ha organizzato un open day per genitori e ragazzi interessati al Camp. Il 27 giugno dalle 18:00 alle 19:30 gli organizzatori e i referenti del Camp ti aspettano in sede per ascoltare le tue domande e accogliere le tue richieste! Per ulteriori informazioni, visita la pagina dei Contatti.

Preparati all’avventura!

Per i ragazzi, Ohana ha anche previsto degli incontri propedeutici, utili per entrare nello spirito del Camp. Dal 4 all’11 luglio, dalle 18:00 alle 19:30, puoi raggiungere gli organizzatori del Camp in sede e prepararti al meglio per questa fantastica avventura, per conoscere i ragazzi e le ragazze con cui condividerai i cinque giorni di esperienze naturalistiche!

Non mancare!

Emanuela Quagliozzi

La Dott.ssa Quagliozzi risponde!

La Dott.ssa Emanuela Quagliozzi è una figura clinica di Ohana. Come psicologa e psicoterapeuta si occupa di bambini e adolescenti. Marta Mariani l’ha intervistata perché le famiglie di Ohana la conoscessero meglio. Ecco le sue parole!

Emanuela, in qualità di psicologa e psicoterapeuta ti occupi principalmente di adolescenti e bambini, in che cosa consiste il tuo aiuto?

Il mio lavoro consiste nell’aiutarli a conoscersi e nell’aumentare il loro livello di consapevolezza di sé. A volte per riuscire a produrre una trasformazione, un cambiamento, o per superare momenti di difficoltà, questo tipo di lavoro è indispensabile.

Promuovere l’autoconsapevolezza emotiva significa sviluppare una maggiore e più cosciente conoscenza dei propri stati d’animo e dei propri pensieri nel momento in cui si presentano.

In questo modo si può riuscire a monitorarli ed a reagire nella maniera più adeguata. Parallelamente lavoro anche sull’incremento di abilità sociali, comunicative e motivazionali. Queste abilità, insieme alla storia personale di ciascun utente, permettono la creazione dell’immagine che il bambino o il ragazzo ha di sé e della propria autostima.

I bambini e gli adolescenti sono lo specchio delle famiglie

Per me è fondamentale lavorare non solo con i bambini e con gli adolescenti ma anche con tutta la rete di relazioni in cui questi vivono. Talvolta, infatti, per produrre un cambiamento, soprattutto nei bambini più piccoli, è necessario effettuare un lavoro volto quasi esclusivamente sui genitori, attraverso degli incontri di Parent Training. In queste occasioni, io e la mia squadra di figure cliniche forniamo un valido supporto alle strategie cognitive e comportamentali delle figure genitoriali. È il nostro metodo per intervenire sul contesto del ragazzo. Questo tipo di lavoro funziona e produce cambiamenti anche nel bambino.

Nel nostro primo colloquio hai parlato di un grande “mostro nero” che adolescenti e preadolescenti intendono superare con il tuo supporto: l’ansia. Cos’è l’ansia? Come si manifesta? Come ci si lavora?

Non la chiamerei “mostro nero”. In realtà l’ansia è solo un’emozione e, come tutte le altre emozioni che proviamo, ha un’importante funzione nella nostra vita. Le emozioni infatti hanno una funzione adattiva e si sono evolute insieme all’uomo fornendo un importante contributo alla sua rapida evoluzione.

Cos’è l’ansia?

In generale, questa emozione indica un complesso di reazioni emotive, cognitive, comportamentali e fisiologiche che si manifestano in seguito ad uno stimolo che avvia aspettative negative. L’ansia aumenta quando la persona valuta il pericolo come imminente e grave, mentre diminuisce quando il soggetto sente di poter gestire la situazione.

Quando ci troviamo davanti ad un pericolo, siamo “programmati” geneticamente a reagire con una risposta comportamentale che ha dei correlati fisiologici.

La sudorazione aumenta, così come il battito cardiaco. Possiamo tremare, avvertire una certa tensione muscolare, avere le vertigini, respirare a fatica. In realtà, queste risposte sono strettamente funzionali e ci servono ad affrontare la minaccia (l’elemento che ci “attacca”), reagendo con l’allontanamento (“fuga”). Se l’ansia rimane compresa entro un certo range di limiti, è accettabile e sana. Essa svolge una funzione, appunto, adattiva.

Quando l’ansia si innesca in situazioni non così pericolose…

Al contrario, quando l’ansia si innesca anche in altri contesti, in cui la nostra incolumità fisica non è affatto messa a repentaglio, questo meccanismo fisiologico va indagato e osservato più da vicino. Spesso, infatti, le reazioni d’ansia non si scatenano soltanto davanti ad una situazione minacciosa, ma anche in tantissime situazioni ordinarie, come un esame, un’interrogazione, una prestazione scolastica, sportiva o lavorativa. Così, la reazione d’ansia diventa disfunzionale, cioè patologica, perché il livello d’intensità raggiunto dall’individuo non è proporzionato all’entità della situazione.

Il lavoro in psicoterapia consiste appunto nell’imparare a riconoscere a livello emotivo e cognitivo cosa avviene nelle situazioni temute.

Capire quello che succede e riconoscerlo rappresenta il primo passo. Successivamente, attraverso tecniche cognitive, comportamentali e di rilassamento, si lavora per trovare strategie adeguate che permettano di riuscire ad affrontare tali situazioni, attraverso una corretta gestione dell’emozione.

Dal tuo punto di vista clinico e professionale, perché la terapia psicologica è importante?

È vero che tutti noi ci conosciamo e abbiamo una buona consapevolezza di noi stessi, ma può capitare che ci manchi una conoscenza emotiva dei nostri desideri più profondi e soprattutto delle nostre scelte. Questo riguarda spesso bambini ed adolescenti che sono in fase di crescita e di scoperta di se stessi. A volte, la mancata conoscenza di sé può produrre delle difficoltà personali e relazionali, o momenti di sofferenza emotiva.


Iniziare una psicoterapia è una scelta orientata alla salute che permette di conoscersi meglio, individuare e rafforzare le proprie risorse, affrontare in modo più opportuno i momenti di difficoltà, di tensione.

Il cambiamento è possibile attraverso la creazione di una relazione improntata sulla fiducia, sull’ascolto, sulla sospensione del giudizio e sull’impegno reciproco. In questa preziosa relazione, il paziente e il terapeuta collaborano per raggiungere insieme degli obiettivi condivisi.

Ricordi il caso di qualche ragazzo o di qualche ragazza che, grazie alla terapia, ha potuto trasformare in meglio la sua qualità di vita? Ti va di parlarcene?

Ho lavorato ad esempio con una ragazza che aveva difficoltà all’interno dell’ambiente scolastico e queste difficoltà l’avevano portata a chiudersi in sé. Viveva dei rapporti difficili con i pari e frequentava poco la scuola. Abbiamo lavorato molto insieme. Cercavamo di capire quali emozioni e quali pensieri si innescavano nelle situazioni temute. Modificavamo, così, con gradualità, i comportamenti di evitamento, o comunque quelle reazioni poco funzionali al raggiungimento dei propri obiettivi. Abbiamo quindi ottenuto che la ragazza si rafforzasse e fronteggiasse tali situazioni. Parallelamente, ho fornito supporto e strategie anche alla coppia genitoriale che si mostrava molto preoccupata della situazione, lavorando quindi anche sulle relazioni tra i membri della famiglia.

emozioni bambina

Cosa diresti ai tanti genitori scettici che disapprovano l’idea di mandare i loro figli da un buon terapeuta?

Decidere di chiedere aiuto, per se stessi o per i propri figli, non è mai, per nessuno, una scelta facile. Spesso ci si sente deboli, arrabbiati, in colpa o privi di risorse personali. In realtà, se sentiamo di non farcela da soli, chiedere aiuto è un atto di forza, un modo concreto per risolvere una problematica, affrontare una situazione o un momento di difficoltà.
Potrebbe essere presente ancora un pregiudizio che considera la persona che soffre a livello psicologico come inadeguata.

A dire la verità, lo scopo principale della psicologia è la promozione del benessere e del cambiamento.


Per quanto concerne la parte pratica, il primo colloquio avviene con i genitori, o con chi si prende cura del bambino, o del ragazzo. Richiedendo l’autorizzazione di entrambi, valutiamo le motivazioni per le quali è stato contattato il professionista. Consideriamo poi se vi sia la reale necessità di un percorso di psicoterapia. Si decide insieme, infine, se intraprendere un percorso o meno. In ultimo, si chiariscono le modalità di accesso al servizio: forniamo cioè tutte le informazioni del lavoro con il minore.

intervista Scarpelli

Intervista alla Dott.ssa Serena Scarpelli

Marta Mariani ha intervistato per Ohana la Dott.ssa Serena Scarpelli per offrire ai nostri utenti una panoramica sullo svolgimento dei laboratori terapeutici e sulle loro potenzialità.

Serena, tu ti occupi di laboratori terapeutici per preadolescenti che hanno delle difficoltà nel riconoscere e nel gestire le emozioni. In che cosa consistono esattamente le attività laboratoriali?

Il laboratorioterapia prevede ad ogni incontro una parte psico-educativa. I partecipanti ricevono delle informazioni su un tema, cioè su una emozione su cui si concentrerà la parte esperienziale del laboratorio. In questa seconda parte i ragazzi si mettono in gioco, sperimentando in diverse simulazioni le situazioni critiche tipiche del loro vissuto.

Mettere in scena le emozioni

Spesso il tema centrale è la gestione della paura. I ragazzi scelgono in genere una situazione, come un compito in classe o un’interrogazione, in cui hanno provato questa emozione e la metteranno in scena. Nelle esperienze di laboratorio ci sono dei protagonisti e degli osservatori. Si ragiona insieme su alcune variabili che sono fondamentali per il riconoscimento dell’emozione.

Usiamo delle domande guida

La Dott.ssa Serena Scarpelli

Le domande guida sono fondamentali: come stava il corpo? qual era l’espressione del volto? Quali sono i pensieri che possono essere passati per la mente alle persone coinvolte nella situazione e, nello specifico, nel momento in cui si è provata l’emozione di paura? Quali comportamenti vengono messi in atto?

L’obiettivo

L’obiettivo, in linea con quello che è il mio approccio (psicoterapia ad indirizzo cognitivo), è sostanzialmente quello di comprendere la relazione tra pensiero, emozione e comportamento, con un’attenzione cruciale anche al corpo. È la base per poter riconoscere, comunicare e gestire le emozioni in maniera adeguata.

Poco fa hai utilizzato l’espressione «alfabetizzazione emotiva». Mi ha colpito molto, facendomi pensare che le emozioni vanno codificate e decodificate un po’ come la scrittura. Potresti spiegarci perché le emozioni sono spesso difficili da capire e da interpretare?

Ci sono delle emozioni di base che secondo studi scientifici sembrano essere condivise a prescindere dalla cultura degli individui. Si tratta di emozioni che vengono quindi codificate e decodificate nel medesimo modo in tutte le popolazioni. Ad esempio, la gioia viene espressa mediante il sorriso in maniera universale. Nonostante ciò, è spesso difficile riconoscere anche le emozioni di base (gioia, paura, rabbia, disgusto, tristezza), per diverse ragioni. Prima di tutto non sempre si è in grado di comprendere cosa ci sta comunicando il nostro corpo. Ad esempio, non tutti “si ascoltano” nello stesso modo. Non tutti si rendono pienamente conto che la rabbia corrisponde anche ad una sensazione di calore, o ad una maggiore attivazione della parte superiore de corpo. Inoltre, bisogna considerare, che le emozioni mutano rapidamente. Ad una emozione di rabbia, può seguire spesso quella di tristezza e non sempre siamo consapevoli di tali evoluzioni. Infine, spesso è difficile spiegare le emozioni a parole. Occorre maturare un linguaggio “emotivo” per poterle comunicare correttamente agli altri.

I laboratori di cui ti occupi sono rivolti per lo più ai preadolescenti. Ci sono delle criticità che possono essere ricondotte proprio a questa fascia di età? Dei problemi diffusi o generalizzati? Delle insicurezze tipiche di questa fase?

La preadolescenza è una fase molto delicata della crescita dell’individuo. Basti pensare che, durante le scuole medie, avvengono molti cambiamenti fisiologici che trasformano il bambino in un ragazzo, e che, tanti di questi mutamenti sono manifesti e spesso fonte di disagio, di insicurezze o di allarme da parte dell’individuo stesso.

Il confronto con i “pari”

La preadolescenza è una fase in cui i ragazzi iniziano in maniera più evidente a confrontarsi con i pari, preparandosi a ricercare e costruire una propria identità. Le problematiche riferite dai preadolescenti sono legate, di frequente, ad una competenza non del tutto acquisita nel relazionarsi con gli altri, nel dire la propria opinione o nel gestire una situazione conflittuale.

Paura del giudizio

Il timore del giudizio è massicciamente presente nei loro racconti. Quest’ultimo è in genere legato al contesto scolastico, dove i ragazzi vivono una certa ansia di “fare brutta figura” con i compagni di classe. Sono problemi diffusi, preoccupazioni condivise che, in molti casi necessitano dell’apprendimento di nuovi “strumenti” per essere adeguatamente gestite. Vale la pena sottolineare che potenziare le abilità di ovviare alle “emozioni difficili” può servire anche per il futuro.

Il lavoro che tu svogli con i ragazzi ha un impatto positivo anche in altri contesti sociali o a scuola? Quali risultati può sperare di ottenere un utente del laboratorio?

L’utente, quindi il ragazzo o la ragazza che partecipa al laboratorio, matura la capacità di riconoscere le proprie emozioni e gestirle in maniera funzionale. Questo consente all’individuo di comunicarle efficacemente agli altri. Tutto ciò ha un impatto indubbiamente positivo anche sui contesti come quello familiare, sociale o scolastico. Non è raro che l’utente diventi a sua volta fonte di rispecchiamento e “modello” per i pari, così come per i propri fratelli o per le proprie sorelle.

Un laboratorio per gestire meglio le frustrazioni

Il lavoro che viene svolto aiuta, peraltro, a gestire in maniera più adeguata le frustrazioni e assiste l’utente nella comprensione delle strategie che possono abbassare i propri livelli di attivazione. Con il laboratorio, si promuove l’accettazione consapevole dei vissuti spiacevoli. Si contrasta così l’evitamento delle situazioni difficili. In altre parole, si spinge l’utente a sperimentarsi anche nelle situazioni per lui più complesse da gestire, in modo tale da favorire una apertura e disponibilità all’esperienza, piuttosto che una chiusura.